Un calcio nel sedere ai calciatori in sciopero

Il calcio è marcio, logoro e stridulo. Fazioni di presidenti onnipotenti e loschi, schiere di giocatori fuori dalla realtà, allenatori schiacciati come wurstel in un panino senza salsa. SCIOPERO! SCIOPERO! Non giochiamo domenica perché anche l’ultimo dei calciatori abbia tutti i diritti. E le operaie della Omsa, e i lavoratori al nero, e i giovani vagolanti da un precariato all’altro? Non per scassare i marones, come li chiama la nostra direttora, e fare la comunista che non sono: ma và a lavorare in miniera, come diceva un mio amico famoso (n.m.) quando sbagliava una pallina a tennis. Ecco la proporzione è questa. Nella clamorosa valanga italiana che precipita senza speranza su noi tutti, la pretesa di porre simili questioni rivendicative per gente che lavora quattro ore al giorno in mezzo a un bel prato verde e tutt’al più si prende un po’ di pioggia in una domenica d’inverno, è una bella vergogna da guance rosse e capo chino. Addirittura i calciatori si dovrebbero inginocchiare e prostrare davanti al povero ceto medio e povero ceto povero e prendersi gli sputi nel caso che veramente le società, su richiesta dei loro stipendiati giocatori, dovessero pagare, al posto loro, il contributo chiesto dal governo ai chi guadagna più di 100.000 mila euro. E si sa che in serie A, la cifra è facilmente raggiunta dal 90% dei bellimbusti muscolosi, tatuati che passano le altre venti ore del giorno a sistemarsi le chiome dal parrucchiere. Suvvia, volete negare l’unica passione e l’unico piacere di milioni d’italiani affamati per avere anche il caviale come antipasto?

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