Rahim è un uomo bello, dal sorriso gentile, occhi miti che sembrano accarezzare cose e persone. Lo vediamo salire un’impalcatura, forse un ingegnere che sovrintende ai lavori. Invece no. Scopriamo che è un detenuto per reati finanziari in permesso: un paio di giorni per vedere la sua famiglia – il figlio di 10 anni, la sorella, il cognato – e soprattutto la donna con cui ha iniziato un nuovo rapporto, molto coinvolgente ma segreto. La donna, che fa la logopedista e segue il figlio di Rahim affetto da una grave balbuzie, scopre qualcosa che potrebbe risolvere il problema giudiziario del fidanzato.
Asghar Farhadi, dopo la parentesi internazionale e il film ambientato in Spagna “Tutti lo sanno” (clicca qui), torna ad ambientare la sua ultima pellicola nella nativa Iran. Un ritorno alle origini che fa pensare a “Una separazione” che gli valse nel 2011 un Oscar e numerosi riconoscimenti. La vicenda travagliata di Rahim – un buono, forse troppo buono – si arrotola su se stessa: se all’inizio sembra premiare la buona fede e l’onestà del giovane uomo, alla fine e per i medesimi meriti che diventano demeriti, gli si ritorce contro. Complici il potere dei media, l’idiozia dei social, l’asfissiante burocrazia, colui che era “Un eroe” si trasforma man mano in un furbo approfittatore. Il regime iraniano complica un quadro non molto differente da quello di paesi “democratici”, in cui l’eccessiva esponenza mediatica può trasformarsi in un boomerang. Oltre due ore di apparenti vittorie e cocenti sconfitte, di salamelecchi e abusi in cui tutte le parti in commedia sembrano avere ragione, la loro ragione e in cui tutti hanno torto.
La verità oggettiva non esiste – questa la lezione di Farhadi. Alla fine resta solo lo sguardo ancora fiducioso e aperto di Rahim e quello dolente del suo bambino che non riesce nemmeno a pronunciare le parole per dire il suo dolore.
Premiato al festival di Cannes “Un eroe” – Francia 2021