Un futuro che non vogliamo vedere

Squid Game, ora alla sua seconda stagione su Netflix, è la cosa più violenta, terrificante, spietata, aberrante che abbia mai visto in tv. E anche la più moderna e geniale.
Molti lo rifuggono dicendo che non amano il genere, ma non direi che questa serie appartenga a un genere. Piuttosto, ne crea uno, essendo il prodotto più vicino allo Zeitgeist che sia stato concepito oggi, piaccia o no. Ci rappresenta (come umani) sfacciatamente, senza filtri, per quello che siamo, attraverso la metafora dell’ ultraviolenza come fece a suo tempo Arancia Meccanica. Ci spiattella, a tinte forti e con la scusa della finzione scenica, nient’altro che la cruda realtà del nostro mondo in guerra permanente effettiva su campi di battaglia pubblici e privati. Realtà gelidamente occhieggiata nei Tg della sera, mentre ceniamo silenziosi, rintanati in case-rifugio a tenuta stagna dai sentimenti che furono.
Ci indica beffardamente il presente e, in allegato, l’ idea di un futuro che non vogliamo vedere.
E non è un caso che Squid Game ci arrivi dall’ oriente: son terre di cultura antica, imperscrutabile, di certo meno incline di noi alla pietà, fattasi nel corso del tempo ipocrisia

 

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