«È vero che volevi costruire un ponte nel deserto? Ma allora è un ponte che va dal niente al niente. A che serve?» viene chiesto al protagonista nel romanzo di Brianna Carafa “Un ponte nel deserto“. Una domanda che, con i necessari adattamenti alla situazione attuale, può ben adattarsi anche all’ormai ultrasecolare progetto del ponte sullo Stretto. Rispetto al libro, tuttavia, il ponte di cui parliamo oggi, più che separare un deserto, ne unirebbe due: Calabria e Sicilia. Quest’ultima un deserto lo sta diventando in senso letterale, vista la siccità catastrofica che l’attanaglia da mesi, costringendo intere province ad un razionamento plurisettimanale e, recentemente, a gesti eclatanti e disperati da guerra tra poveri come quello dei sindaci dell’Ennese, che hanno chiuso la condotta che porta l’acqua a Caltanissetta. Passando all’analisi delle infrastrutture interne, i due deserti, Calabria e Sicilia, si equivalgono, o quasi: autostrade ad una corsia per chilometri, veri e propri miracoli dell’incompetenza umana come la Palermo-Agrigento, per non parlare della rete ferroviaria, alla quale mancano solo gli indiani a cavallo che affiancano le carrozze per sentirsi in un film western, con tempi di percorrenza più o meno simili rispetto all’America dell’800, vedi il tratto Trapani-Ragusa, 12 ore per percorrere 350 chilometri.
Alla luce di una situazione così drammatica, appare quantomai necessario porsi la stessa domanda che viene rivolta al protagonista del libro: a che serve un’opera titanica, sulla quale sono già stati impegnati miliardi su miliardi, se un metro dopo le due sponde i viaggiatori si ritroveranno un deserto in continua espansione? E una volta superato il meraviglioso ponte, chi troveranno ad aspettarli, in una terra che vive un’emigrazione, soprattutto giovanile, spaventosa?
Secondo il ministro Salvini che, a differenza dell’ingenuo ingegnere protagonista del libro, non è ingenuo e meno che mai ingegnere, l’opera dovrebbe rappresentare il trampolino di lancio per le due regioni, attirando l’attenzione internazionale, attraendo turisti e riducendo i costi di trasporto delle merci. Quello che Salvini non riesce a vedere è che le due regioni vivono emergenze quotidiane che richiedono il massimo delle risorse possibili, senza le quali, continuando su questa strada, il ponte che verrà (va’ a capire quando, visto che “anche oggi si comincia domani”), potrà fare da trampolino di una piscina ormai vuota e senza bagnanti.
Al netto quindi di approcci ideologici, che applicati alle infrastrutture sono fuorvianti e ricordano ironicamente la celebre canzone di Gaber su destra e sinistra, e al netto delle accuse di provincialismo rivolte da chi, probabilmente, al Sud ci viene in vacanza ma in socialcrazia può assumere, tra i tanti disponibili, anche il ruolo di esperto di ponti, resta una questione concreta, che si può riassumere in una breve e cruda parola: soldi.
La mia convinzione è che i siciliani, come i calabresi, siano ogni giorno più convinti di poter mettere da parte, almeno per un po’, il sogno futuro del Ponte e che le risorse vengano utilizzate per scacciare gli incubi presenti che si chiamano siccità, infrastrutture fatiscenti e cantieri perenni, collegamenti ferroviari ottocenteschi, con il conseguente spopolamento dei centri rurali, come anche, ormai, di quelli metropolitani.
Se, da un lato, questa riflessione potrà sembrare di parte perché l’autore è siciliano, dall’altra sono certo che chi leggerà saprà cogliere l’estrema sofferenza che ogni giorno affronta chi vive in una terra baciata dal sole ma troppo spesso schiaffeggiata dai propri governanti.