La villa è tutta luci nella notte cristallina. Prudente, prima di entrare spii dalla porta finestra. I ragazzi si muovono qui e là. Gli adulti sono seduti in giro. Appoggi la mano sulla maniglia, scruti a destra. Ahi, la tv è accesa. Alt. Apri piano, senza entrare. Ti mostri. Melania toglie subito l’audio. Ma tu intanto ti sei già fatta riconoscere dagli ospiti con quella tua bella faccia da mal di denti.
Stai bene, non hai i nervi, non sei pazza, uno dei tuoi orecchi è perfettamente sano. Ti siedi in un angolo che ti pare raccolto. Bel salone affrescato, soffitti alti. I normali si parlano da un capo all’altro della stanza. A voce alta. Naturale, è l’acustica dei grandi spazi. C’è l’eco. Cos’è per te, lo sai. Per gli altri, è il sottofondo di sottile confusione che li spinge ad alzare man mano le voci in una spirale che cresce su se stessa. Ti metti calma: cos’ha detto la psicologa deficiente di Piacenza? Distogliere l’attenzione dall’udito, fissarsi sulla vista. Sulla mia sinistra c’è un libro che illustra le bellezze della Maremma. Lo abbranco. Disciplinata mi ci fisso. Ansedonia, la Tagliata Etrusca, le rovine di Cosa.
Chi credi di ingannare? Buuuuuum buuuum buuuuum. Innescato dai suoni ambientali, il motore installato nella tua testa sta andando su di giri. Clang clang, le campane che ti dondolano nel cervello sono in festa. Così come le api, le cicale, le seghe elettriche. Ahi. AHI. AAAAHHHIIII. Crescita esponenziale. Intorno, le voci dei normali si frangono, rintoccano, si fondono alzandosi verso il soffitto e tornando giù in picchiata. Battono sulle pareti del tuo cranio da dentro. Non capisci cosa dicono, ma non importa. Sai di non poter comunque parlare, il suono della tua voce rientrerebbe in testa come un ulteriore trapano. Senti che sul viso ti si sta dipingendo la smorfia cadaverica che ti rende tanto popolare. No, non stai morendo, non stai impazzendo. Nessun dramma, è una tragedia ridicola, come avere le scarpe strette, strettissime, e non poterle togliere. Sono ficcate nella carne.
Se non scappi finisci ancora una volta per cadere a terra davanti a tutti. Ti alzi, traballante, esitante. Ti infili nella stanza foderata di legno. Melania, con un sorrisetto condiscendente, chiude la porta scorrevole. Sei sola. I suoni giungono attutiti. Il mal di testa e i ronzii smettono di aumentare. Tra un po’ persino caleranno. Immagini con chiarezza le facce imbarazzate al di là della sottile parete di legno.
Tinnitus. Iperacusia catastrofica.