Una bottiglia vuota e un fucile scarico: due errori che non si dovrebbero mai commettere, in special modo quando, superati i cinquant’anni, si hanno tutte le ossa rotte e ci si trova a Cuba nella stagione delle piogge. Piove da tre giorni e da tre giorni Paloma è stesa sul mio letto. Ha il nome di un uragano e un sedere che invece meriterebbe un nome più gentile tanto è aggraziato e divinamente calmo. Una lievissima pellicola di sudore lo ricopre come fosse rugiada. Ogni tanto, probabilmente col passaggio alla fase rem, si tende, mostrando due fossette ai lati inferiori delle natiche. Mi tornano alla mente i campi di battaglia lungo il Piave quando la rugiada dell’alba si mescolava col sangue della meglio gioventù. Soldato del ’99, io trasportavo corpi senza braccia o senza gambe da offrire come monumenti all’eroismo italico; in seguito entusiasticamente celebrati dal più grande bluff d’Europa, finito appeso a piazzale Loreto. Ora sono diventato il monumento vivente di me stesso: eroe di guerra, intellettuale a Parigi, cacciatore, torero e, infine, artrosico ubriacone. Sono sempre in fuga. L’ FBI mi vuole. Quel bastardo di Hoover mi tiene sotto controllo dai tempi della guerra di Spagna. Anche la sbruffoneria di mettermi a capo di un commando di partigiani in Francia, gli stronzi del Bureau non l’hanno mai digerita. Eppure odio la guerra, almeno quanto amo la caccia. Così pur di non tornare a casa, me ne sto qui alla Finca, oppure organizzo safari in Africa. Chissà se il vecchio leone ce la farà anche questa volta. «Ernesto, que pasa?»
«Nada, Paloma, nada!». Sono soltanto elucubrazioni di un vecchio che non ha più rhum nella bottiglia, né cartucce nel fucile.
Immagine: Stefano Navarrini