Una bugia

 

Siedono davanti a me, padre e figlia, apparentemente tranquilli.
“Sa, dottoressa, non è per me… è per sua madre. Sa, mia figlia è venuta qui a studiare e sua madre è preoccupata… è da due mesi che è fuori di casa…”
“Mi scusi, non capisco quale sia il problema.”
“Beh, sa… insomma… sua madre vuole sapere se è ancora a posto…”
Guardo la ragazza che mi fissa negli occhi immobile, imperturbabile, e le mie convinzioni, le mie scelte, le mie idee mi esplodono dentro rabbiose.
È degradante, è vergognoso, è tutto quello contro cui ho sempre lottato; vorrei urlargli che siamo nel 2000, che quello che mi chiede è violenza…
Ma la debbo fare questa “visita”, la voglio fare perché so che il padre non demorderà, trascinerà la figlia per studi medici fino a trovare un collega che gli dia la risposta che cerca.
“Lei è maggiorenne, signorina?”
“Sì.”
“È d’accordo che la visiti?”
“Sì.”
“S’accomodi.”
Entriamo nell’ambulatorio, chiudo la porta e me la ritrovo al collo, con gli occhi sbarrati… un sussurro:
“Mi aiuti, la prego.”
La stringo, le faccio una carezza sul viso.
Il giorno dopo, sulla scrivania, un fiore con un biglietto:
“Una rosa è poco per quello che ha fatto. Ho ricevuto una carezza che non avevo mai avuto in quasi 20 anni, è stata brava come una Mamma. Grazie.”
Lo conservo ancora, questo tenero ricordo.

 

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