Escludendo i familiari e le smagliature, che sono arrivate molto dopo, quello con la timidezza è il rapporto con radici più profonde nel tempo che possa vantare. Una presenza antica nella mia vita, quasi un impasto primordiale, tanto che gli studiosi stanno tuttora cercando di stabilire chi tra noi due sia nata per prima. Nel frattempo io con lei ho ingaggiato furiose battaglie, sfibranti lotte contro guance rosse e scene mute, pianti segreti e risate isteriche, le ho pure dato un nomignolo, Timmy. Naturalmente solo dopo averne ammesso l’esistenza, prima ne rifiutavo anche solo il nome con livida ostilità.
Sulla pagella di seconda o terza elementare la maestra, che pure mi lodava, per introdurmi scrisse «timida e riservata». Piansi per giorni, chiedendomi come, come avrei fatto a cancellare quell’onta dal mio curriculum. Ho evitato di rileggerla per anni.
Durante l’adolescenza, poi, Timmy si trasformò in una zavorra, ancorandomi come un pallone aerostatico inutilizzato mentre tutte le palloncine coetanee svolazzavano per cieli azzurri. E più la negavo più quella per dispetto si manifestava. Chi osservava che fossi timida guadagnava immantinente la medaglia d’odio: farmi notare, per di più davanti a qualcun altro, che ero timida equivaleva a insultarmi. I più arditi, facendo battute memorabili come «ah, stai un po’ zitta, mi hai fatto una testa così!» non seppero mai di essersi guadagnati il mio disprezzo per l’eternità.
Col tempo i rapporti tra me e Timmy si sono ammorbiditi. È successo grazie a mio padre, che un giorno osservò casualmente di essere sempre stato timido. Lo guardai con occhi grandi come percoche, e pure un po’ diffidente: mi stava prendendo in giro pure lui?
Cominciai a sospettare allora che si potesse sopravvivere con quella cosa, che, persino, la si poteva dire… Che era inutile se non deleterio cercare di sopprimerla.
Non era possibile vincerla, ma dissimularla sì.
Il giorno in cui un occhio forse poco attento confuse Timmy con la superbia, sentii di avere svoltato.
Non sono “guarita”, ma ho sperimentato qualche trucco per conviverci. Per esempio l’autoironia, che non solo si è rivelata liberatoria, ma persino divertente.
E che cazzo, il tempo non è mica passato solo per portarmi la cellulite?