Siamo al museo dell’aeronautica, passeggiamo tra riproduzioni e reperti originali e ad un certo punto sussurri qualcosa.
“Non ho capito, mi hai fatto una domanda?” -ti chiedo accarezzandoti il braccio. E tu mi geli.
“Una domanda? Figurati. Non faccio domande sugli aerei a te.”
Hai solo quattordici anni, sei solo un ragazzino, ma il tono dispregiativo con cui pronunci quel “a te” mi colpisce come una coltellata.
Hai ragione, del resto cosa potrebbe mai sapere tua madre di aeronautica militare e delle gesta di Gianni Caproni? Poco, forse due date messe lì per deduzione, magari qualche raccontino fantasioso sentito tempo fa.
Nulla, quindi.
Così incasso il colpo e mi siedo in un angolo, e in attesa che tu abbia osservato tutto ciò che ti interessa inizio a chiedermi se esiste al mondo qualcosa su cui potresti farmi qualche domanda. Sei sicuro di te, intelligente, brillante, adolescente: è normale che tu possa vedermi come qualcuno che non ha più nulla da insegnarti, ma fa ugualmente male.
L’altro giorno ti ho portato ad un’audizione di pianoforte. Appena entrato nell’auditorium, alla vista di quel piano a coda ha cominciato a tremarti la voce. Poi ti hanno fatto sedere e hai iniziato a suonare.
Sei partito dal brano che conosci di meno, quello per te più difficile -del resto, il dna non si discute: sappiamo essere i nostri peggiori nemici, dei terrificanti censori, ci massacriamo da soli con dedizione assoluta.
Dopo poche note hai fatto un errore, hai borbottato qualcosa, ti sei passato la mano tra i capelli e poi -ti conosco, sei mio figlio- hai ricominciato andando avanti spedito e senza interromperti più.
Poi sei passato ai brani che hai studiato meglio, e lì ti ho visto prendere il volo: la schiena incurvata, la spalla verso la tastiera in accompagnamento ai gesti, un sorriso deliziato sul tuo viso.
E, in una vibrazione altissima e circolare, le note a riempire l’aria con una melodia complessa e articolata – un brano moderno, tutto fatto di sincopi e crescendo, qualche pianissimo e un carosello di semicrome.
Ti ho guardato sentendomi il cuore battere in gola fino al punto in cui, in un istante, le tue mani mi sono sembrate essere il continuo delle mie – e io stessa mi sono sentita finire dove tu cominciavi, come se fossimo stati una sola cosa, tu al pianoforte ed io su quella sedia, tu con la musica ed io con le parole, le stesse che sto scrivendoti ora, le stesse che – come quegli ottantotto tasti che a volte accarezzi e a volte martelli – io stessa suono per te creando quella che per me è musica e che per il resto del mondo è una lettera d’amore per il proprio figlio.
E su questo sono sicura che potrai farmi tutte le domande che vorrai – sarò sempre lì pronta a risponderti.
Adolescenza Madre e figlio Pianoforte
bellissimo
Che bello!!!