Una mano sottile

Si muove sotto alle lenzuola come un bruco nella muta, movimenti quasi impercettibili, lenti, ma visibili.
E’ sistemata su un letto ad acqua, su triplice strato di cuscini disposti a ventaglio.
Una mano piccola, sottile, ossuta fuoriesce dalla montagna di tela bianca e cerca incessantemente di piegare, piegolinare, appiattire, sistemare un angolo del grande copriletto verdolino
Quando si sveglia grida in falsetto “mama, mama, go paura, ahi ahi ahi, tanta paura”
“Di cosa hai paura Luçieta? Sei al sicuro qui in ospedale, ti curano. Da ieri stai già meglio”
“I omeni. I me siga e i dixe che no so far gnente”
“I te gà bastonà?”, “No me ricordo”.
Arrivata in reparto sembrava un pupazzo da punchingball: ematomi con croste sulla fronte, viso gonfio, occhi cerchiati di blu-viola come un orso lavatore, guancia destra viola come il semicerchio sottolinea il sottogola e colora la spalla.
Ha 96 anni ed è caduta dal letto momentaneamente senza sponde, di un ricovero per anziani, sbattendo la testa sul comodino.
Le chiedo “come è successo?” , “no me ricordo”.
“I te gà bastonà?”, “no me ricordo gnente”
“Dixemo na AveMaria?” , “Sì”, mi prende la mano, la tiene, le sorrido. Ha pupille azzurro intenso.
Sorride, mi fa una carezza sul viso, dice “simpaticaa” e mi viene dietro a tratti nella preghiera

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