Una richiesta di amicizia

Giorgio è giornalista in un quotidiano milanese: è un uomo tranquillo, riservato, poco incline alla carriera e a sgomitare per farsi notare. Una mattina di una luminosa giornata di dicembre (siamo nel 2010) gli arriva su Facebook una richiesta d’amicizia. Non che sia un appassionato dei social, ma va comunque a guardare: la apre e quando vede da chi gli arriva è come se ricevesse una botta in testa.
Sconvolto e tremante, guarda la foto del profilo e il nome: Febo, un amico carissimo morto trent’anni prima. Giorgio, anzi Toro – come lo chiamava Febo – pensa subito a uno scherzo macabro, di cattivo gusto e non risponde. Ma quella richiesta continua a rodergli il cervello e decide di mettere alla prova il fedifrago con domande cui solo l’autentico Febo potrebbe rispondere.
E lo “sventurato rispose” con una precisione e dei dettagli impossibili da poter attribuire a un millantatore. Dopo avergli finalmente accordato l’amicizia, lo bombarda per avere ulteriori chiarimenti sulla sua identità, ma niente, quello continua a rispondere che è proprio lui, l’amico geniale, che aveva conosciuto al Collegio Fraccaro di Pavia nei “fosforescenti anni ’80”.
In un vai e vieni di ricordi per nulla appannati dal tempo Giorgio si ritrova nella stanza N°27 del Collegio, dove lui, un ruvido montanaro studente di economia, è stato accettato. Le luci, la nebbia, il sole che a volte si fa largo, il portinaio scorbutico, i primi amici: Alberto, il Duna, i “Terroni”, e infine Febo con l’inseparabile Patton al seguito.
Era la musica che filtrava dalla sua camera ad averlo affascinato fin dall’inizio, ben prima di conoscerlo, un suono che radunava tutti i suoi sogni, come quello del pifferaio magico. Febo era misterioso e affascinante, aveva una cultura, non solo musicale, vasta e articolata, frequentava i cinema d’essai e spaccava con le ragazze. Tutto il suo contrario, che con le donne (da Indiana a Elisa a Virginia) non ci aveva mai saputo fare, imbranato e insicuro qual era.
Dalla Pavia d’antan alla Milano del 2010, con la nostalgia che gli devasta l’anima e quel misterioso “profilo” con cui continua a chattare nell’oggi sempre più confuso. Un mistero, una storia complicata, un enigma all’apparenza irrisolvibile che poi si scioglie come la neve delle sue montagne al primo sole di primavera.
Una scrittura piana, delicata, spesso poetica, quella di Enrico Fovanna (nato nel ’61 in Piemonte) che riporta indietro anche il lettore alla prima giovinezza, ai primi amori e ai primi terribili dolori. Formidabili quegli anni.

Lunedì mi innamoro – Giunti Ed. (2023)

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