Una strana guerra si aggira per l’Europa

 

Sono ritornata in Francia pochi giorni dopo gli attentati del 13 novembre ed ho avvertito un’atmosfera cupa, pesante: un’atmosfera di guerra. Questa però è una guerra nuova, diversa da quelle che conosciamo attraverso le pagine dei libri di storia. É una guerra che c’è ma non si vede, se non all’ultimo momento, quando viene illuminata dalle scintille di un kalashnikov che falcia un’intera redazione di giornale, colpevole di aver creduto alla libertà di espressione; che fredda un poliziotto, senza pietà, senza umanità, solo perché il destino, una fredda mattina di gennaio, lo ha messo sulla strada sbagliata in un momento sbagliato; che uccide gente comune, colpevole di essere ebrea e di aver deciso di far le commissioni in un supermercato kasher; o ancora, che sbriciola l’esistenza di decine di persone uscite per cenare in compagnia di amici o per ascoltare un concerto.

 

Il fatto che sia strana, non la rende meno guerra e meno dolorosa e sanguinosa; non la rende nemmeno meno assurda, come sono assurde tutte le guerre, sempre.

 

I francesi però, in questa guerra ci si sono ritrovati, direi trascinati per i capelli, nel 2015 appena trascorso; “un 2015 di merda”, come dicono qui… e a ragion veduta.

 

 

 

Ricordo che all’inizio dello scorso anno giravano articoli che parlavano della “maledizione del 15”, spiegando che per la Francia, gli anni che finiscono in 15 portano da secoli avvenimenti epocali, la maggior parte tragici.

 

Il 1315 nella storia francese è ricordato come un anno da piaghe bibliche: il Paese venne sommerso da alluvioni che distrussero i raccolti riducendo alla fame, e poi alla morte, migliaia di persone; il 1415 vide la sonora sconfitta della cavalleria francese a Azincourt, che produsse un massacro, con morti in battaglia e morti negli ospedali per le conseguenze delle ferite riportate sul campo. L’elenco degli anni funesti che terminano per 15 era lungo e per abbreviare vi dico solo altre due date, epocali per la Francia e poi – poiché nessuna Nazione è un’isola – per il destino del mondo intero: il 1815, anno che segna, con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, la fine di un mondo; i francesi, che occupavano un posto di primo piano sulla scena politica dell’epoca, passano la mano e il cambiamento ha ripercussioni a livello mondiale. Infine il 1915, che vede invece la Francia impelagata nella Prima Guerra Mondiale e proprio in quell’anno viene raggiunto il più alto numero di perdite di vite umane.

 

Ricordo che quando lessi quell’elenco rimasi perplessa; ma ancora non era arrivato il 7 gennaio 2015 e nemmeno il 13 novembre 2015. Ancora la Francia non aveva sentito il proprio Presidente dichiarare di essere in guerra.

 

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Trascorrendo parte dell’anno anche in Italia, mi rendo conto che per noi italiani sia complicato comprendere appieno il clima di tensione che si respira in ogni città di Francia, a meno appunto di viverci giorno dopo giorno. Noi abbiamo una realtà diversa, nel bene e nel male. Siamo tutti europei, certo, ma alcuni Paesi dell’Europa hanno un maggior numero d’immigrati musulmani e quindi una probabilità matematicamente più alta di “ospitare” integralisti terroristi: sicuramente la Francia è fra questi.

 

 

Potrei scrivere fino a domani nel tentativo di far comprendere come qui ognuno, chi più chi meno, viva quotidianamente sulla propria pelle questo clima di guerra subdola, ma per capire davvero occorre respirare l’aria che si respira qui: un altro modo non esiste, un altro modo non è che un mucchio di parole atone. Certo, anche in Italia, con l’Anno Santo da poco inaugurato, ci sono controlli e militari in giro per le strade; e se posti della movida notturna, come Campo de Fiori, ultimamente sono quasi deserti, significa che la tensione e la paura serpeggiano anche nel nostro Paese; e però… e però non è la stessa cosa. Tanto per cominciare perché da noi nessun Presidente del Consiglio ha mai detto che siamo in guerra, mentre in Francia, François Hollande è stato chiaro e ha dichiarato: “siamo in guerra e sarà una guerra lunga”. Questo fa una bella differenza, anche sul piano psicologico.

 

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Poi, entrare in qualunque grande magazzino e trovare all’ingresso delle guardie private che ti controllano la borsa e ti passano un metal detector per il timore che tu abbia una cintura esplosiva, non è sicuramente rilassante. Quello che però ha inquietato tutti i francesi, dal punto di vista dell’impatto emotivo intendo, è stato il vedere i soldati armati all’ingresso delle chiese durante le funzioni religiose delle festività natalizie. La Francia è un Paese laico, oserei affermare che forse è IL Paese laico per eccellenza e la laicità, quando è intelligente, non è altro che libertà: di pensiero, di parola e anche di culto. Dunque vedere una chiesa sorvegliata da gente armata, è scioccante, indubbiamente.

 

Lo è anche farsi una fotografia davanti ad un presepe allestito all’aperto e rischiare di portare a casa una foto ricordo con nell’inquadratura un gruppo di vigilanti che stazionano in permanenza davanti al bue e all’asinello.

 

Quello che tento di dire è che abbiamo appena concluso un’inquietante anno “merdique” e non sappiamo cosa ci porterà il 2016 che ha appena fatto capolino, timidamente, con meno botti e meno fuochi d’artificio; perché, se festeggiare era un doveroso atto di coraggio e di difesa delle proprie libertà, non possiamo negare che c’era comunque ben poco da festeggiare: tutti o quasi (il “quasi” è d’obbligo, non si sa mai) avevano infatti ancora negli occhi le immagini degli attentati di Parigi e nel cuore il dolore per una generazione ferita, quella dei nostri figli o nipoti o coetanei, quella del nostro futuro insomma.

 

E a proposito di futuro, alzi la mano chi non si è domandato cosa ci riserverà il nuovo anno, che non ha in sé la “maledizione” del 15, ma è pur sempre un anno bisesto… con quel che segue.

 

La risposta io non ce l’ho, ma mentre scrivo mi viene in mente una frase dello scrittore Michel Houellebecq, che dice che non dobbiamo aver paura della felicità: non esiste.

 

 

 

 

 

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