Parte tutto da un gioco. Tre coppie più un single si ritrovano a cena. I quattro maschi si conoscono da sempre, le tre femmine sono diventate amiche nel corso degli anni. Il gioco è simile a quello della “verità” che facevano da ragazzini, adattato ai tempi moderni. La scommessa, che ad alcuni appare rischiosa fin da subito, è di mettere davanti al piatto il proprio smartphone, e di condividere con tutti sms, whatsapp, mail, twitter, telefonate in arrivo. Tutto in viva voce. La serata, intorno alla tavola imbandita di una bella casa romana, si annuncia frizzante e ricca di imprevisti.
“Perfetti sconosciuti” è una commedia, amarissima, sulla nostra società perennemente connessa. In cui la discussione è continuamente interrotta da cinguettii artificiali, trilli e suonerie. In cui il mondo reale è sostituito da quello virtuale e l’immagine che diamo di noi stessi è fotoshoppata per renderci più attraenti.
L’impianto del film è quello del francese “Cena tra amici”, cui si è ispirata anche Francesca Archibugi nel suo “Il nome del figlio”.
Ma, al netto di scene di irresistibile comicità, la nuova opera di Paolo Genovese si potrebbe anche definire una tragedia greca 2.0.
Ma, al netto di scene di irresistibile comicità, la nuova opera di Paolo Genovese si potrebbe anche definire una tragedia greca 2.0.
Niente e nessuno viene risparmiato: sentimenti, rapporti d’amore, d’amicizia, antiche complicità che sembravano consolidate.
Con attori formidabili da Marco Giallini a Giuseppe Battiston, da Valerio Mastandrea a Alba Rohrwacher, da Edoardo Leo a Kasia Smutniak, “Perfetti sconosciuti” racconta solitudini e fragilità. L’eclissi totale che oscura la luna e che i sette amici osservano distratti dalla terrazza è il buio che cala sui loro cuori. E il selfie che si scattano, sorridenti e vacui davanti all’obiettivo, fotografa la precarietà delle loro vite.
Vite racchiuse nella scatola nera dello smartphone, come se i problemi reali che li affliggono, potessero essere cancellati con un click.
Un film forte con una scrittura puntuale e disincantata, in cui si ride, ci si indigna e ci si commuove. Che trasmette un disagio e al tempo stesso induce a una presa di coscienza. Necessaria per difenderci da ciò che era solo un mezzo ed è diventato un fine.
“Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese (Italia 2016)