Unica Zurn. Storia di una bambola

 

Ecco ‘Die Puppe’ (‘la bambola’) disse di lei Hans Bellmer quando la incontrò per la prima volta a Berlino, nel 1953, in una galleria d’arte. Le pareva davvero la incarnazione delle bambole che aveva montato e fotografato in un libro degli anni Trenta per esaltare lo scambio estetico tra l’immagine della adolescente, del giocattolo e dell’automa.

 

Erotismo e pulsione di morte furono galeotti nella unione tra l’artista e Unica Zurn (1916-1970) sua docile, passiva e volontaria modella dopo avere avuto una turbolenta giovinezza in Germania, un matrimonio e un drammatico divorzio dal quale perse la custodia dei figli.

 

Unica Zurn fu la compagna ideale di un crudele gioco estetico nel quale identificò la sua vita di scrittrice, autrice di disegni automatici e collages in puro stile surrealista, facendosi trattare come ‘oggetto’, pura corporeità da manipolare. Il gioco sadico e masochista cui Unica Zurn si dispose – Bellmer la fotografò nuda e stretta in legacci che le consumarono la carne – parte decisiva di una totale esperienza di vita e di arte, con uno sguardo letterario tra autoanalisi di donna vittima e sdoppiamento trasfigurante della personalità fino alla notte della follìa.

 

Tensione ipnotica, scambio di personalità amorose – tra Bellmer, amante sadico e Henri Michaux, ‘l’uomo gelsomino’ di un suo libro – ed altre esperienze limite – le pose pornografiche per la ‘Histoire de l’Oeil’ di Bataille – portarono la ‘bambola’ a scrivere, dopo avere conosciuto l’ospedale psichiatrico, un romanzo autobiografico (‘Sombre Printemps’, 1967) dove una sofferta adolescenza – tra sesso incestuoso, piacere e dolore – induce una ragazza al suicidio gettandosi dalla finestra.

 

La oscurità macabra del mondo surrealista rispecchiava il dramma interiore di Unica Zurn che anticipò scrivendo il suo stesso destino.

 

A partire dal 1960 entrò e uscì dall’ospedale di Sainte Anne di Parigi per ripetute crisi psichiatriche. E in questi frangenti scriveva, dipingeva, annotava visioni magiche, ossessioni, incubi e parafrasi del suo difficile rapporto con Bellmer (e l’alter ego Michaux)

 

Fece due tentativi di suicidio, e volle distruggere la maggior parte dei suoi disegni e scritti. Continuò a vivere accanto a Bellmer fino a quando nel 1970, giunta ai cinquantaquattro anni, si gettò dalla finestra del suo appartamento. Come la ragazza del ‘Sombre Printemps’ di cui aveva descritto con puntualità il decorso esistenziale.

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La copertina di “Sombre printemps”

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