Uno straniero

Terribile sensazione! La scacciavo ma tornava. Subdola aspettò che mi svegliassi. E colpì.
Non sapevo più chi fossi. Una parte di me, indebolita, diceva: pazzo! Sei tu. Il solito uomo che deve sbrigarsi, correre, andare al lavoro. E l’altra: Ma chi sei? Uno straniero. Non sai niente di te né cosa ti circonda. Ero terrorizzato.
Cercai conferme. Volai in camera da letto. Mia moglie. Cercai il viso. Lo trovai, lo osservai. Non avevo mai visto quel volto in vita mia! Ma è lei, Claudia. Non la riconobbi. Non la ricordavo. La debole voce della coscienza urlava: è tua moglie! Udivo solo un bisbiglio lontano.
Tornai in bagno e lo sconosciuto iniziò a sbiadirsi e scomparve. Lo specchio non mi rifletteva più. Devo calmarmi, pensare. E’ un incubo! Mi sciacquai gli occhi, mi guardai. Nulla, non c’ero. Andai sul balcone a fumare. Ero più calmo. Guardavo l’umanità.
Chi andava a scuola, chi al lavoro. Correndo. Tutti assonnati . . . tutti stranieri. Nessuno salutava, nessuno parlava. Solitudini stanche che spontaneamente si mettevano le catene e producevano, producevano, producevano. Cosa? Perché? Mi vestii e uscii.
Avevo nuovi occhi. La realtà sempre indigesta mi appariva ora in tutta la sua mostruosità e follia. Presi il metrò. Manicomio viaggiante di disperazioni controllate. Ognuno con il proprio smartphone, illusi che l’aggeggio contenga il mondo intero. Mi veniva da vomitare e scesi.
Sedetti su una panchina e telefonai al lavoro che stavo male. E non era una scusa. Due gatti giocavano. Loro non lavorano. E noi saremmo la specie intelligente? Accesi un’altra sigaretta e m’incamminai verso casa. A quell’ora Claudia era già uscita. Lei e io, condannati ai lavori forzati. Come tutti, come ergastolani.
Ma una vetrina rimandò la mia immagine. Riuscivo a specchiarmi! Correndo tornai a casa. Lei era sveglia ma non si era ancora alzata. La ricordavo, la riconobbi. Ero felice. La baciai ma si ritrasse. Tremava. Disse: “Scusi ma lei chi è?”

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