Uwe Tellkamp La Torre Bompiani 2010

Nella Germania est, oltre a cappelli di feltro jugoslavi, arrivavano magnifici Borsalino e – udite, udite – film italiani con Ornella Muti e persino Bud Spencer. C’erano anche coppie lesbiche senza che nessuno ne fosse particolarmente scandalizzato, e nessuno toglieva loro la patente con la scusa che l’omosessualità è un disturbo mentale, come accade ora nella “liberale” Italia. Il tutto mentre un esercito terribile massacrava i suoi soldati di leva e una burocrazia impossibile vessava i bisogni dei cittadini. A scuola però si insegnava il russo ma anche l’inglese e la ricerca, nonostante la povertà dei mezzi, veniva stimata e considerata; infine intellettuali raffinatissimi vivevano in un tempo sospeso, in case liberty slabbrate e fascinose, e chirurghi d’assalto tradivano la moglie con la segretaria, come in tutto l’occidente, del resto.

Apprendiamo queste delizie nel libro La torre di Uwe Tellkamp (Bompiani), uscito già da tempo in Italia e mai trasformatosi in best-seller, forse piuttosto in libro-cult, con un’onda lunga di letture. Al di là della superficiale Ostalgie di film simpatici ma sterili come Goodbye Lenin non è filtrato quasi nulla, in Italia, del travagliato percorso tedesco di recupero della memoria storica della DDR, che fu certo un regime totalitario, ma la cui complessità direi esistenziale merita una lettura appassionata.

E certo La Torre è un romanzo appassionante, che richiede una lettura meditata ma mai noiosa, che porta al centro di un universo particolare: la turris eburnea di un quartiere “borghese” di Dresda durante la fase di sfaldamento della DDR negli anni ottanta. Difficile soffermarsi sulle molteplici soggettività in gioco, sui legami forti di solidarietà e di amore, felicemente platonico o ossessivamente erotico, che li legano.

Su tutti svettano Meno Rohde, scienziato-editor, e Judith Schevola, scrittrice anticonformista e libertina che lotta contro il regime per riuscire a pubblicare il suo libro. Non leggetelo con i pregiudizi di certi quaquaraqua nostrani sulla “fine del comunismo”, svuotatevi dalle banalità di anni di televisione martellante, liberate la mente, capite quel che lega noi e loro, fatevi guidare da Meno e Judith, guardiani di una torre dove risiede e palpita una fine che è anche un principio, e che con il crollo di un solo muro non c’entra affatto.

 

 

 

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