Vaffambell, Felice Natale!

Ah, giusto: è di nuovo Natale.
Da bambina adoravo la vigilia, perché era carica di aspettative, giuggiulena spianata dal gomito oliato di nonna Vittoria, pacchi variopinti da scartare. Giganteschi.

Quando i miei si separarono, il tintinnar di campanellini si fece stucchevole.
Come i pani, davanti ai negozi si moltiplicavano Babbi Natale strizzati in ridicole calzamaglie scarlatte. Celati dalle barbe di plastica, mercenari della peggior specie rapivano nanerottoli urlanti, per schiaffarseli sulle ginocchia. Solita foto di rito – uno scatto salato persino per mammine e paparini dalla commozione facile – e incasso del riscatto.
Come i pesci, le liti genitoriali, a forza di “Le feste le passa con me”-“No, te lo scordi. Provaci e vedrai”.

Il Natale incinto, beatamente affrancato dall’albero genealogico (inclusi aghi e, soprattutto, palle), fece comparire bastoncini di zucchero sulle finestre del mio nuovo nido. Tepore accogliente, incipiente fibrillazione per il lieto evento – il nostro, mica di Coso, tra bove e ciuccio – una deliziosa cena di pesce per due e mezzo, allestita sulla tovaglia buona, e a nanna presto, che sennò, il reflusso…

E ora tiè!, mi distraggo un attimo ed ecco che ci risiamo, accidenti! No, niente gravidanze – esclusa la solita, che si ripete da 2011 anni e con la quale io c’entro come il finocchietto nel cappuccino.
Non mi chiamo Maria. E sono del toro.
A tornare, sono le luminarie lungo il corso.
E ancora torroni. E mandarini. E tombola. E sette-e-mezzo-sto-e-ti-credo-che-stai. E caldarroste roventi. E nastrini lucidi rossi e dorati.
Natale.
Felice Natale?
Santo, forse? Ommioddio! Hanno appeso il foglio dei liberi!
Natale mi tocca dentro. Non mi pervade un senso di soave dolcezza che giunge a ghermire, birichino!, il derelitto muscolo cardiaco. È che il 25 sono in turno, por-co-ca-ne! E trattenete lo spirito, ché scopa e carbone mi attendono il sei gennaio e, ve lo assicuro, non mi ci vuole tutto ‘sto tempo per allestire i voli notturni. Mi riferivo all’altro lavoro.
Cassa cinque. Nell’occhio del ciclone. Un centro commerciale tutto lustrini, “Oh-oh-oooh” e abeti di nylon verde bottiglia. Be’, per la verità ci sono anche quelli argentati. Molto fashion, recita il volantino. E recita da cani, ve lo garantisco. E “me lo incarta?”, e “ma c’ha le pile?”, e “ma non costava otto centesimi di meno?”, e “ma siete qui anche oggi?”.
Sì, siamo qui, stronza ritardataria con il senso dell’umorismo di un piccione ripieno.

Festeggeremo con il bambino in tarda serata.
Non è per niente giusto stappare uno spumante da dueeuroenovantatré. A dieci minuti da Santo Stefano. Per colpa di una volatile satolla. Di cadeaux nelle sporte e umorismo spicciolo in punta di lingua.
Al piccolo regaleremo i pattini, anche se inciampa già solo camminando.
E una macchina fotografica, perché ama dire – e far dire – formaggio in inglese.
E un uovo di Pasqua. Enorme. Fatto in casa, fondendo tutti i babbinatale di cioccolato in circolazione.
Tanti auguri.
E vaffambell.

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