La spiaggia nazional popolare scivola nell’autunno lenta come una goccia di pioggia su di un vetro. Gli ombrelloni si diradano, lasciando vuoti random, come denti da latte.
I lettini si accatastano, dopo che il lavaggio a pressione li ha liberati da residui di sabbia minerale e umana.
Resta al suo posto solo quello di Sanzio, il primo a togliersi i pantaloni ad aprile, l’ultimo a rimetterli a fine settembre; lui, il vero orologio della stagione balneare del mio mare romagnolo.
I bagnini sono allegri mentre smontano, puliscono, impacchettano.
Li aspetta la morosa in Nord Europa, o l’estate brasiliana.
O anche solo l’inverno a guardare le partite su Sky al bar, a buttare giù la rete oltre gli scogli, a fumare sul molo del Rubicone.
I gabbiani ci sono sempre stati, ma solo ora ci si accorge davvero di loro, man mano che prendono possesso della spiaggia e dell’acqua abbandonate dagli uomini.
Osservo l’orizzonte che si fa brumoso, il sole che segue una traiettoria bassa, creando ombre che fino a un mese fa non esistevano.
Entro nel bar del Bagno Adriana, dico a Roberto che mi prendo un gelato.
“Guarda cosa è rimasto” mi fa.
Tre; naturalmente nessuno di quelli che piacciono a me, con la cioccolata.
Lo mangio lo stesso, perché un gelato di fine stagione deve sapere un po’ anche di malinconia.