Via col ventolin, storia di un malanno

Ogni anno il virus arriva puntuale, con nomi più o meno esotici e bizzarri per identificare l’influenza. Australiana, Cinese, Suina, Aliena, Bastarda…
Quale che sia quello di turno, credo di averlo preso.
Giorni di debolezza, tenuta pigiamitica agognata e negata, ossa dolenti e fitte in punti del corpo che non sapevo nemmeno di avere. Perfetto per la mia asma.
Vorrei dormire per una cinquantina d’ore, ma la dura legge di una giornata qualunque non ammette defezioni. Dunque si va, non importa quale grado di zombietudine esprima il corpo.
Doccia, sedicimila strati di vestiti, trucco, stucco e parrucco; infine, al lavoro.
Dopo le prime quattro ore di «Brego, ba certo, non si breoccubi, sono dove e dovantadove, grazie a lei, addibederci», indosso il mio piumino color mela marcia e mi dirigo al negozio di alimentari, sicura e soddisfatta come una supereroa.
Compro le mie solite cose zero salute, poi latte, pane e un pacchetto di formaggini. Tra il reparto latticini e le patatine, incrocio un tizio che mi guarda con insistenza. «Sei molto carina» dice.
Carina con questa faccia color tortora e i capelli a nido di fagiano? E tu sei molto miope o molto stronzo, vorrei dirgli. Per non sbagliare, mi limito a un asciutto «Anghe du».
Tappa successiva, la farmacia. Il proprietario è uno che conosco, e che mi piace. Preferirei non trovarlo, considerando come sono messa, ma ovviamente è lì: bello come il sole, sano e vedente.
Mi fa cenno sollevando una mano, rispondo al saluto e attendo il mio turno.
La donna davanti a me ha bei capelli e vestiti impeccabili. Ed è bella. Sì, lo capisco da come lui annuisce e l’ascolta intento; e non mi sfugge l’occhiolino che le fa salutandola. Infame traditore!
«Ehi» dice, quando gli son di fronte. Pronto il mio sorriso di rimando, già dimentico dell’oltraggio. Ma niente occhiolino, per me.
«Dachibirina e bendolin a donnellade, ber gominciare» esordisco.
«Mamma mia, hai un aspetto orribile!» esclama lui, «Stavolta l’hai preso, eh?»
Sì, in piena faccia… Era un tir. Carico.
Di colpo la stanchezza mi sovrasta. Pago la mia paccottiglia, mi congedo bofonchiando cose incomprensibili e mestamente guadagno l’uscita.
Va bene, mi arrendo! Mi rinchiudo in casa fino a nuovo ordine. E nuovo taglio di capelli!
Anche le supereroe hanno giornate no. Ma dopotutto, domani è un altro giorno.

 

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