L’abbiocco colpisce duro appena mi siedo in treno. È una costante. Leggo mezza pagina e non riesco a tenere gli occhi aperti.
Punto la sveglia – non è la prima volta che manco la destinazione – e cerco una posizione più o meno comoda.
Di fronte ho un ragazzo magro, dalla pelle olivastra, mediorientale o del nostro sud, non saprei. Ronf.
Il treno rallenta, apro un occhio. Vedo un ragazzone nero, grosso che fatica a stare tra i braccioli. Ma che… Ronf.
Un fischio acuto, mi tiro su di botto. Sul sedile opposto c’è una ragazza minuta dalla pelle chiarissima, capelli scuri e occhi azzurri. Sembra russa. Nonostante i sobbalzi si sta ritoccando le sopracciglia con specchio e pinzette. – Oh, mi shcusi, non volevo svegliarla. L’accento è romagnolo spinto, tipo Gradisca di Fellini.
Ma… ma… dove sono finito? Appena il tempo di tranquillizzarla, non è colpa sua, e… Ronf.
Suona il cellulare. Sono solo, non c’è nessuno in tutto lo scomparto. Di lì a poco appare il cartello Rimini. Mi chiedo se Trenitalia metta sostanze strane nel ricircolo dell’aria.
Acchiappo lo zaino e scendo. Caffè.