L’Italia ai Mondiali di Russia non c’è. A lasciarci a casa ci hanno pensato gli svedesi; che. sono arrivati ai quarti e non erano quindi una squadra materasso. Non è la prima volta che ci capita. Nel 1958, fu l’Irlanda del Nord a sbarrarci la strada per il mondiale di Svezia. Ma, chi ha avuto fin qui la pazienza di annoiarsi (quasi sempre) davanti al televisore ha ricavato una diversa impressione: Gli “italiani” ci sono, e come!
Non c’è partita tra squadre di qualunque Continente, nel corso della quale un documentatissimo commentatore ometta di ricordarci in quale squadra italiana milita o ha militato questo o quel giocatore. Attenzione, non stiamo parlando delle solite due o tre squadre italiane che partecipano ai tornei europei; molti di questi nazionali ‘stranieri’ hanno calcato palcoscenici di provincia.
Il sito di Sky Sport ne elenca in tutto 63, qualcosa come i convocati di tre nazionali; ai quali andrebbero aggiunti i non pochi che dopo aver soggiornato a lungo nel Belpaese si stanno godendo pre-pensionamenti milionari in qualche campionato esotico.
Il tutto si spiega con il fatto che oggi le squadre di Club non sono più espressione della comunità e di qualche appassionato mecenate di questa o quella zona del Paese. Sono imprese complesse, attorno alle quali ruotano attività e interessi economici e commerciali ingenti, che attraggono capitali e investitori cinesi piuttosto che statunitensi.
È un mondo che faccio fatica a capire. Quando ero ancora tifoso, la mia Roma vinse il suo primo scudetto dell’era repubblicana con una squadra dove giocava un genio del pallone arrivato dal Brasile. Ma accanto a Paulo Roberto Falcao e all’austriaco Herbert Prohaska in campo scendevano Di Bartolomei, Nela, Ancellotti, Conti, Giannini, Pruzzo e Scarnecchia. Sì perché quello fu anche lo scudetto di Roberto Scarnecchia, un volenteroso non un talento, che in seguito, dopo aver girato mezza Italia, nel 1988 concluse la sua carriera al Barletta.
Nella Juventus che ha appena messo in bacheca il suo 34° scudetto (fonte Wikipedia) accanto a Buffon, De Sciglio, Barzagli e Chiellini, troviamo Alex Sandro, Khedira, Pjanic, Matuidi, Duglas Costa, Higuain, Dybala ecc. Stiamo parlando di signori che offrono la loro prestazione per compensi dell’ordine di svariati milioni l’anno e che durante il ‘mercato’, estivo o invernale, vengono contesi tra le multi-nazionali del pallone con somme che tornerebbero comode a Di Maio per avviare il reddito di cittadinanza.
Forse è arrivato il momento di ridefinire il significato dell’espressione ‘militare in una squadra’, perché nel calcio globale l’attaccamento più che alla bandiera e ai colori sociali, è al denaro.
Eppure, ogni quattro anni si celebra il rito dei Mondiali dove si riscopre l’emozione dell’appartenenza a una Nazione soprattutto davanti alle telecamere. Non sono così cinico da considerare fasulli gli entusiasmi per le vittorie e le lacrime per le sconfitte. Ma il riferimento nazionale non sempre funziona alla perfezione. Si scopre infatti che nel Senegal – una squadra interessante che è tornata a casa grazie a una cosa strana che chiamano classifica del fair play – otto giocatori su dieci sono nati in Francia e ‘militano’ nei campionati europei. Oppure, c’è il caso famoso dei due kossovari travestiti da Svizzeri.
Siamo, come dice la pubblicità di Mediaset, al Mondiale più tecnologico di sempre. Tutti sono e possono essere connessi e stiamo vivendo esperienze da villaggio globale, dove c’è un giro di affari miliardari. Ah, dimenticavo: dopo l’annessione delle Crimea e l’aggressione dell’Ucraina, l’Occidente non aveva deciso di punire Mosca e Putin con pesanti sanzioni?
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