VINCENT LAMBERT E LA VITA

L’alimentazione forzata e le altre cure sono state sospese. Ora il cuore di Vincent Lambert non batte più. Ma la polemica ferve ancora, e alcuni parlano di “omicidio”.
La maggior parte dei giornali ha nominato solo i genitori, cattolici ferventi che protestavano contro la decisione del tribunale. E non hanno fatto parola della moglie, sua tutrice legale, e di sei degli otto fratelli, che, col sostegno dei medici che l’avevano in cura, da anni lottavano contro quello che vedevano come un mostruoso accanimento terapeutico che teneva a forza il suo corpo in vita. Io non sono favorevole all’eutanasia, ma ho il dubbio che costringere con la tortura a restare qui un essere che se n’è andato da tempo, non sia una vittoria della vita, ma del feticismo.
E se dovessimo decidere noi? Se c’è il testamento biologico, sappiamo come fare. Ma comunque poi dovremmo affrontare il fatto di esserci – essere accanto a questo essere che amiamo, ha la faccia che amiamo, e chiude gli occhi per dormire e li apre la mattina, respira ma non c’è. Chissà. Il dilemma è: “tenerlo in <vita> è rispetto e amore, o egoismo e tortura? Io sono egoista, e forse terrei in vita a ogni costo il corpo amato. Forse. Per continuare a vederlo, a toccarlo, a immaginare di essere guardata, a parlargli, anche se invano. Certo, chiederei consiglio a un neurologo, e gli chiederei “prova dolore? Paura, terrore, nel buio della sua mente isolata nel nulla? Sogna? Oppure sente piacere come una pianta che riceve la sua acqua, mentre è nutrito e idratato?”
Il medico risponderebbe che non lo si può sapere. Alla fine non mi resterebbe che rivolgermi alla mia coscienza, e decidere.
Però ai giornali chiederei che, se proprio se ne dovesse parlare, non si intitolasse “vita contro la morte”, ma si fornisse una informazione completa, e non schieramenti ideologici.

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