Di post in post, di host in host, etereo, impalpabile il virus viaggia. È interconnesso, condiviso, va per gruppi, si infila nelle bacheche, si espande nei pvt. Tra un film youtube, una canzone memorabile e un blog satirico, si diffonde, il virus pulsa e corre, i germi infetti volano nelle citazioni, nelle proteste, nelle vignette. Si accomoda in prima classe in mezzo alle fotografie degli anni andati in bianco e nero, nonni, infanzie di quel che fu. E, nel digitale del presente, il virus si adatta al freccia rossa dei pixel delle vacanze, modificati dai fotosciop e poi lanciati in rete, in fondo non usiamo il sistema binario? La minaccia colpisce l’aria e non c’è antivirus che tenga, si mangia l’apple e spalanca il windows, toglie la coperta a linux. Non si nasconde nelle pieghe di un cavallo di troia, non si impossessa di dati, ma corre indiscriminatamente, chi trova trova. È un virus democratico, attacca ricchi e poveri, femmine e maschi, grandi e piccini, ma gli piace l’inverno, il vento e la pioggia e anche gli sbalzi di temperatura di un mondo di uragani. L’epidemia si espande tra amici, familiari e gente di cui si conosce solo il profilo, perché lui ama i nasi. Soprattutto gocciolanti. Colpisce community e persone sole, sì anche quelli che si difendono dietro la privacy. E, dulcis in fundo, usa ogni mezzo, passa disinvoltamente da feisbuc a tuitter e fa strage. Non è il millenium bug ma si è adattato alle nostre nuove abitudini in linea. Ii virus dell’influenza non emigra più di fiato in fiato in ambienti chiusi, e nemmeno dandosi la mano in un saluto, la malattia si è messa al passo dei tempi.