Sappiamo chi siamo e dove siamo.
Hanno costruito mura alte intorno a noi, per difenderci da nemici che non sapevamo di avere.
Prima, con un volo di fantasia potevamo oltrepassare le mura, inerpicandoci lungo scalette, provvisorie come ipotesi, o scavando cunicoli nelle profondità della memoria, ma ora non più.
Siamo sotto assedio.
Qualche volta si apre una voragine, sempre la stessa, in prima pagina; le sirene ululano sul web, in tivù si contano i morti, e il numero cresce di minuto in minuto, mentre scorre il nastro rosso con gli aggiornamenti. Ma non c’è emergenza, ogni giorno compare un nuovo hashtag che si sostituisce al precedente. Viviamo questo lungo prolungato assedio in attesa di uno stratagemma, un colpo di genio risolutivo: fosse anche la nostra fine, sarebbe una liberazione.
Eppure ci sono ancora giornate di sole, e nei giardini fiorisce la primavera, l’estate devasta e brucia, scende la neve e soffia il vento con il suo carico di sale o di sabbia. Difficile accorgersene, perché nessuno ce lo racconta.
Le macchine da guerra e le torri di assalto si spostano da un punto all’altro dell’orizzonte, le ombre che proiettano dovrebbero farci paura. C’è persino chi prova pietà per quelli là fuori, che si spezzano la schiena ripetendo sempre le stesse manovre. Chi sono? Sono gli altri, dunque nemici. Chissà se anche loro sanno di vivere sotto assedio?