Una gonna plissettata era la felicità nei primi giorni di primavera. Si sollevava sulle gambe, si gonfiava al vento della Pasqua, faceva la ruota leggera e sospesa. La mettevamo anche con il vento della nostra Sicilia, con una camicetta che minacciava di sbuffare fuori, perché troppo setosa e leggera. Sentivamo un gran freddo, stringevamo le braccia al petto, cercavamo di coprire il collo scoperto. Avevamo scarpe bicolori, calze che scivolavano, ma la nostra gonna resisteva nel suo fluire, morbida, come piena della magia delle tante piegoline. Uno sguardo allo specchio, il gocciolio del naso raffreddato, le nuvole densissime sulla processione lugubre, lo scompiglio dei capelli, il senso caparbio dell’età. E la festa si riduceva nel vestito buono, nel fruscio della stoffa, nel cambiamento della stagione. Poi pioveva con raffiche improvvise e tutto finiva. Correvamo sollevando la gonna cercando di salvarla dalle gocce violente di marzo. Davamo un bacio di fretta al fidanzato. Volavamo.