Aveva solo 23 anni Nina Nikolayevna Andreevskaya, quando nel 1916 telefonò a Kandinskij.
Ciò che gli disse non dovette impressionarlo particolarmente, la sua voce invece lo stregò, diventando per il celebre pittore una magnifica ossessione: le dedicò prima un acquerello “Omaggio ad una voce sconosciuta” e poi non resistette al desiderio di conoscerla. Dopo pochi mesi la sposò.
Come sanno tutti gli innamorati, la voce arriva direttamente al cuore, proviene dalle più profonde pieghe della coscienza, si anima col respiro, non si limita a far vibrare le corde vocali, ma le mette in sintonia coi sentimenti, assumendo il timbro inconfondibile del nostro modo di essere.
Il tono della voce seduce, incanta, blandisce, rimprovera, arringa, repelle, annoia, ironizza: rivela ciò che le parole nascondono. I grandi attori la modulano, calibrano i toni, studiano le inflessioni, alternano le pause al ritmo.
“Poesia è risonar del dire oltre il concetto” osservava Carmelo Bene. Le sillabe, la metrica, le assonanze, le onomatopee, danno alla voce quel la inconfondibile, affinché il verso nella recitazione assuma nuovi significati.
I cantanti poi si identificano con la loro voce. L’emissione vocale è la loro carta d’identità.
Siamo abituati a sfogliare gli album di foto che ritraggono i nostri cari che non ci sono più: talvolta il desiderio di risentire la loro voce è forte e, se per caso ne riascoltiamo la registrazione, un’emozione profonda ci pervade.