Zolder 1982

Trent’anni fa, l’8 maggio 1982, moriva Gilles Villeneuve. Era un pilota di Formula 1. Guidava una Ferrari.
È sabato sul circuito di Zolder. Mancano pochi minuti alla fine delle prove. Villeneuve affronta la curva del bosco. Davanti a lui, più lento, sta girando Jochen Mass. La ruota anteriore sinistra di Villeneuve urta la posteriore destra di Mass. La Ferrari si impenna, ricade, si sgretola. Le cinture di sicurezza si spezzano. Gilles vola sull‘asfalto del circuito, si schianta contro le reti che circondano la pista. La parabola mortale di Villeneuve dura quattro secondi: quattro secondi in cui le sue scarpe schizzano a duecento metri dal luogo dell’impatto, il suo casco a cento, il volante a centottanta. Quattro secondi per la sua apoteosi.
Gilles non è un campione del mondo, non è famoso per i suoi successi (ha vinto solo sei GP), ma è un idolo per le sue sconfitte, gli incidenti, le gare scriteriate. A Fuji, al debutto in Ferrari, salta sulla Tyrrell di Peterson (quasi un incidente fotocopia di quello di Zolder) e vola oltre le reti; a Long Beach si arrampica sulle gomme di Regazzoni e butta al vento una vittoria certa; a Zandvoort compie un intero giro su tre ruote (la quarta è afflosciata da una foratura) e distrugge il retrotreno della sua Ferrari. Atti gratuiti, gesta fuori del tempo, cimenti senza senso: ma che per gli appassionati sono altrettante imprese eroiche. La febbre Villeneuve diventa una malattia certificata. Nella mente dei tifosi, Villeneuve non è semplicemente un pilota, è il pilota. A fare di lui un eroe degno di un poema omerico sono il duello a ruote bloccate con Arnoux per il secondo posto nel GP di Francia; la vittoria azzannata a Montecarlo su un circuito impossibile per i motori turbo; il terzo posto nel GP del Canada sotto un diluvio che non accenna a spegnersi e con una macchina che perde pezzi ad ogni giro.
La dimensione tragica di Gilles è chiara a tutti: è l’ultimo eroe romantico di una F1 che diventa ogni giorno più fredda e più anonima; dove il calcolo, il denaro e l’elettronica, prendono il posto del cuore e dell’estro. Addio controsterzate, frenate al limite, traiettorie improvvisate: nasce la F1 dei trenini,  della gare soporifere, dei sorpassi ai box. Con la sua parabola sull’asfalto di Zolder, Villeneuve esce dalla storia ed entra nella leggenda. Si cristallizza in un’immagine inscalfibile. Perde i propri contorni reali e si trasforma in una proiezione dell’inconscio.
Quindici anni dopo, nel ‘97, un ragazzo col suo nome vince il Mondiale di Formula 1. È Jacques, il suo figlio primogenito. Oggi quasi nessuno si ricorda più di lui. Ha corso giusto il tempo per vincerlo, quel titolo: gli era rimasto un conto da saldare.

 

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